| Ero al Carlo Felice, l'altra sera. Teatro meraviglioso che gia in sé amplifica il valore di qualsiasi rappresentazione. All'uscita del concerto il colpo d'occhio era davvero bello: duemila persone in piedi e scenografie curatissime alle spalle dei musicisti che salutavano. Soldi del biglietto sicuramente non buttati, ma...non si contano i "ma", appunto.
In primo luogo, nel patrimonio musicale del padre non tutto può essere preso e interpretato a cuor leggero. Parto proprio dalle basi: ci sono canzoni di Faber che non possono essere riproposte tranquillamente da qualsiasi voce. Se non, ovviamente, perdendone almeno in parte le qualità originali. La voce di Faber era splendida (secondo Mina la miglior voce maschile italiana con cui lei abbia avuto a che fare) anche per la sua capacità di adattarsi ai testi. Se, come nel caso di Cristiano, hai timbro molto diverso e un approccio più aggressivo faresti meglio a evitare certi brani.
Cristiano De Andrè è un musicista vero, e lo ha dimostrato anche l'altra sera rimbalzando con facilità estrema da uno strumento all'altro (cinque, in tutto). In questo, suo padre aveva ragione. Sul fatto di costringere "Storia di un impiegato" (non il mio disco preferito, come noto, al pari di "Tutti morimmo a stento") in una versione marcatamente rock se ne potrebbe discutere a lungo. A me, l'operazione non convince. Ma la reazione del pubblico, invece, è stata di assoluto favore. Eccessiva, ancorché sfarzosa, la scenografia alle spalle. Un campionario di "meglio gioventù" nelle varie versioni (movimento studentesco, autonomia operaia, femminismo. A proposito di quest'ultimo, un po' di prudenza non sarebbe guastata, vista la sua storia) combinato a stragismi e misteri d’Italia. Ambizioso, ma già visto e rivisto, ancorché tecnicamente inappuntabile.
Ora, la parte visuale dei concerti ha da molto tempo un ruolo non più di semplice supporto, ma francamente la trovo spesso specchietto per le allodole. L'ultimo live del padre, al Brancaccio di Roma, fu in un contesto elegante quanto essenziale e preferisco di gran lunga questo tipo di approccio. Se voglio andare a teatro, vado a teatro. Se voglio sentire musica, non ho bisogno del resto, per lo meno non oltre certi limiti.
Cristiano ha cantato solo ed esclusivamente pezzi di Faber. Come autore non ha mai fatto nulla di memorabile, e quindi non vedo che male ci sia a proporsi come... curatore del patrimonio famigliare. Bravo, relativamente ai pezzi "importabili", decisamente meno su altri di più difficile interpretazione (per fare un esempio, "la domenica delle salme" in bocca a lui non funziona proprio). Il gruppo a sostegno, non me ne sono sorpreso, di eccellente livello.
Al di là di questo, ho trovato sbalorditiva la mancanza di consapevolezza del personaggio. Interruzioni su interruzioni a favore di pistolotti da guru, d'inconsistenza assoluta. Inviti alla folla a scambiarsi il segno di pace (battendosi “il cinque”), segni di croce, sproloqui sulla pace e sull'anarchia (di comodo), quattro ospiti sul palco. Uno di questi, di assoluto spessore (Guido Harari), gli altri non proprio necessari al contesto e al netto della gaffe (si è dimenticato il cognome della signora che cura il museo De Andrè). Con mia moglie, c'era anche uno dei miei nipoti, 24enne. Appassionato di Faber, si è voltato verso di me per un semplicissimo "ma questo è scemo...".
C'è da dire che il confronto con siffatto genitore farebbe tremare i polsi a chiunque. Anche per questo, la prudenza e la consapevolezza andrebbero usate in quantità industriale.
Edited by Il Camallo - 17/1/2019, 14:30
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