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Fabrizio De André, un grande del novecento oltre retoriche, agiografie e luoghi comuni

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Il Camallo
view post Posted on 7/1/2005, 17:29 by: Il Camallo
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Mi viene da sorridere:quel mio "break" su Faber, in un'altra piazza, fu di fatto la mia prima discussione con gli amici che hanno poi formato con me l'ensemble di IOD.
Ne ripropongo adesso il secondo passo, in risposta al pennuto ed al El Aleph di allora (che prima trova il tempo di tornare su piazza, e meglio è) e vedete voi che farne.

"Di solito, da chi partecipa ad un funerale, anche un passante può immaginare qualcosa della vita di chi se ne è andato; la trasversalità che ho citato nell’episodio di mia moglie avrebbe invece indotto alla confusione chiunque, se non si fosse trattato di Faber.
Ora, Corvo e Provolino condividono l’affermazione della trasversalità come certificazione della grandezza del personaggio, e si spingono più in là , chiedendosi se questo elemento non sia stato il frutto irripetibile delle idee di Fabrizio e del suo modo di metterle in (grandissima) musica.

Dico che è vero, ma solo in parte, perché quando parli di artisti così (per me De Andrè è il più grande nel dopoguerra), non solo all’opera devi riferirti ma anche alla biografia, che spesso spiega quello che gli spartiti e le interviste non fanno.
Le cose che ha cantato erano grandi e profonde, ma lui poteva dirle, quando ad altri non sarebbero state perdonate. Dipende dal valore, obietterebbero alcuni; vero, ma posso garantirvi che il suo ambiente originario, la grande borghesia cittadina, ha sempre considerato benevolmente le sue “mattane”, che per molti erano il classico dei classici della “jeunesse dorèe”: la voglia trasgressiva di scendere agli inferi (qui a Genova il centro storico degli ultimi) per offendere i genitori (di solito), per curiosità giovanile verso altri modelli sociali, per fare qualcosa di più divertente o emozionante che in certe famiglie proprio non è possibile.
Mediamente, questa fase rientra dopo qualche anno, e molti miei compagni che ho conosciuto nello stesso liceo di Faber, che ho frequentato 15 anni dopo, erano esattamente così: forse erano già vecchi a 18 anni, perché la follia giovanile che avrebbe caratterizzato una piccola parte della loro vita era inevitabile quanto il rientro nei ranghi dopo la maturità: ed è gioventù con il freno a mano, perché non ne hai le prerogative, il rischio e l’incognita.

La grande differenza tra Faber e i tanti sta proprio qui: queste “mattane”, per lui sono state invece viatico e premessa alla comprensione di mondi e persone che teoricamente gli erano inibiti, diventando maturazione definitiva e codificandosi in una espressione unica, che l’avrebbe accompagnato per tutti gli anni che gli rimanevano. In breve: da un “impunito” come tanti altri (molti a scuola ricordavano i suoi anni giovanili così) al gigante che conosciamo.

Attenzione però: la trasversalità di Faber non è spiegabile solocon il suo impareggiabile talento, ma anche dalla premessa dei suoi capolavori, culture e comportamenti tutt’altro che popolari (Brassens, la letteratura francese, la musica colta, il radicalismo americano), che hanno poi trovato sbocco in un anarchismo sincero, ma non osteggiato perché individuale e scelto liberamente; il suo ambiente originario non lo ha mai abbandonato, anche perché riconosceva in lui la perpuetazione di tante aspirazioni abbandonate della gioventù di Albaro, Castelletto e Nervi (i posti migliori della città)

-altre volte, rispetto ad amici che se ne sono andati dopo un’esistenza “altra”, mi sono trovato a funerali dove non capivo se molti presenti piangevano il morto o quello che loro stessi erano stati tanto tempo prima-

Chiudo: e’ più facile rifiutare Guccini, invece, (anche se nell’utilizzo della lingua ha fatto alcune cose forse ancora migliori) perchè le sue origini e la sua storia ti mandano dritto dritto verso il suo pubblico; perchè forse nei suoi testi non trovi un qualcuno solo che non può farti paura (Piero, Geordie, Marinella, Bocca di Rosa, Andrea, Sally, Michè, Sinàn Capudàn Pascià, a Pittima) ma una moltitudine che non può scegliere liberamente e che cerca di diventare storia individuale, e non ce la fa quasi mai (pensate a Van Loon); perchè l’individualismo di Faber (che ha impiegato molti anni a vincere la paura del concerto) è l’opposto di Francesco, affascinato dalle folle a cui lui stesso appartiene, e alle quali non potrebbe rivolgersi con l’idea libertaria di Fabrizio, bella ed elitaria. Ma non per questo è arte minore"
 
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492 replies since 7/1/2005, 17:29   5418 views
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